venerdì 3 aprile 2015

Marco D'Amore e la "Trilogia del male".

Tre uomini, tre storie. Tre personaggi all'apparenza simili, anche se profondamente diversi. E potrei continuare all'infinito, tra assonanze e differenze.
Diego De Martino, Ciro Di Marzio e Francesco Corvino sono i loro nomi.
Unico è invece  il volto di chi li interpreta: Marco D'Amore.
Non li ho conosciuti in questo ordine, ma ho avuto l'opportunità di apprezzarli in un breve arco di tempo, anche e soprattutto grazie alle parole dell'attore che gli ha dato vita.
Infatti ho avuto l'opportunità di ascoltare Marco d'Amore e ho apprezzato la passione con cui lui ha parlato della sua professione così come dei suoi personaggi.



Così, dopo aver conosciuto Ciro Di Marzio nella serie cult di Sky Atlantic "Gomorra - La Serie", ho anche avuto modo di entrare a contatto con Francesco Corvino in "Perez." e Diego De Martino in  "Una vita tranquilla". E credo che questi tre personaggi possano rappresentare una vera e propria "Trilogia del male" in una scalata davvero unica e particolare. Osservandoli in superficie, appaiono solo come tre criminali, simili a quelli che vediamo in tanti film. In realtà io li ho percepiti molto più profondamente.
Spesso non ci chiediamo il perchè di troppe cose, limitandoci a osservare le persone per quello che ci mostrano, mentre credo che guardando a fondo la loro anima si possa capire molto di più. Ed è quello che io ho cercato di fare con Ciro, Francesco e Diego.
Ho guardato oltre l'aria da "cattivo" e mi sono chiesta da dove provenissero, chi fossero. E tutti e tre provengono da una famiglia, da un padre, che ha cambiato le loro esistenze rendendoli quello che sono. Ciro è orfano, non ha un padre, la sua famiglia è stata da sempre la camorra, con lei è cresciuta, lei conosce e lei rispetta. Francesco invece un padre ce l'ha ed ha semplicemente seguito il percorso che gli aveva indicato. Diego, poi, ha un padre, ma forse è come se non ce l'avesse mai avuto perchè ha deciso di farsi una nuova vita, cancellando il passato. Sono tre storie che sembrano distinte, ma sono l'una incatenata all'altra. E la bravura di Marco D'Amore è stata quella di riuscire a rendere in modo impercettibile questo legame tra i tre personaggi, come se fossero tre fratelli uniti da un'unica storia: il legame al loro passato.

Francesco Corvino è un giovane camorrista che si innamora di Tea, figlia di Perez, avvocato napoletano, spaventato dal legame che la ragazza ha instaurato con Corvino. Francesco rappresenta il bivio tra ragione e sentimento, il binomio tra l'amore verso Tea e l'istinto criminale, che ormai ha nel sangue.



Ciro, invece, ha una storia particolare. Così come riferisce il suo interprete, in un flashback non mandato in onda, si narrava la terribile perdita dei genitori nel terremoto del 1980 e la sua vita in orfanotrofio, la conoscenza di Attilio, il suo avvio alla criminalità e l'inizio di una vita da camorrista. La camorra è stata la sua famiglia, una famiglia che ha iniziato ad odiare dal momento in cui ha perso Attilio, che per lui era come un padre, e che ha deciso di boicottare e distruggere con le sue stesse armi.



E infine, è proprio in Diego che io vedo l'anello di congiunzione di questi due personaggi. Diego ha un padre, o forse no. Suo padre Antonio ha deciso di cancellare la sua vita precedente e di diventare Rosario, proprietario di un ristorante in Germania. E' fuggito anni prima, dandosi per morto, ha abbandonato suo figlio Diego per non farsi ammazzare e per proteggere la sua famiglia, così dice. Nessuno sa della sua esistenza, a parte Diego, che non riesce a perdonarlo, che è diffidente. Rosario, interpretato dal grande Toni Servillo, è un personaggio particolare, a tratti misterioso. E rende Diego differente, ma allo stesso tempo uguale a Francesco e Ciro.



Francesco ha un padre camorrista, Ciro non ha un padre, mentre Diego ha un padre, ma è come se non ce l'avesse. Diego è l'anello di congiunzione di queste tre storie, è il vertice della piramide, il tassello del puzzle che permette di dare voce al passato di questi tre uomini. Perchè è proprio il passato che condiziona la loro vita, la terra in cui affondano le loro radici rappresenta il substrato da cui si dipanerà la loro esistenza.
Un passato da cui non possono sfuggire, ma che possono cambiare. Ciro vuole annientare ciò da cui proviene, Francesco vuole imparare ad amare, Diego non vuole fuggire come ha fatto il padre. E, a mio avviso, questo è il più grande insegnamento che dobbiamo trarre da queste tre interpretazioni: il desiderio di cambiamento, di innovazione, di mutevolezza. La vita non è fissa, non si ferma se la facciamo scorrere, non resta immobile se le diamo la scossa. Ognuno di noi, buono o cattivo che sia, sa essere umano. Ed è nella propria e individuale umanità che questi tre personaggi trovano la risposta al loro passato.
Diego è umano perchè vuole vivere la propria vita senza cambiare nome, senza scappare come ha fatto suo padre. Francesco Corvino è umano perchè vuole amare, nonostante tutto. E questo costa la vita ad entrambi.
Ciro, invece, sembra una macchina da guerra, un soldato indistruttibile, è Immortale, ma non per questo non è umano, anzi forse lo è più di tutti. Ha un'umanità nascosta, forse mai esplorata, che sta alla base della sua stessa cattiveria.


Quindi più che la "Trilogia del male" come ho detto esordendo, dopo aver conosciuto Ciro, Francesco e Diego, posso dire che Marco D'Amore ha dato vita a una "Trilogia dell'Umanità", dove ogni essere umano è una piccola faccia di un poliedro multiforme chiamato vita.

giovedì 12 febbraio 2015

Ciro Di Marzio - Gomorra La Serie.

Ciro di Marzio, prima di essere un camorrista è innanzitutto un uomo. Un uomo di cui non si conosce bene la storia, un uomo il cui passato è oscuro. Ha perso entrambi i genitori, ha vissuto da solo in un istituto e la sua unica figura di riferimento è stata quella di Attilio, che per lui è stato come un padre. Ciro ha gli occhi di ghiaccio, ha una coltre di freddezza che lo nasconde, usa il sangue come se fosse uno scudo per proteggersi. E' un uomo che sembra non provare emozioni, eppure qualcosa la prova, come dice lui stesso, perchè lui prova un unico sentimento: l'odio.
Odia quello in cui è cresciuto, odia quello che è diventato, odia quello che è costretto a fare, ma nonostante questo, la sua rabbia si accresce sempre di più e diventa peggio di coloro che odia.
Lo ammetto, all'inizio il personaggio di Ciro mi affascinava, vedevo in lui il cattivo che è destinato a cambiare, colui che avrebbe capovolto la situazione, l'uomo che mi avrebbe stupito. Forse ingenuamente, forse da ragazza che vede troppi film e si illude che anche la vita vera possa essere così, l'ho creduto e l'ho voluto fino alla fine.
La sua amicizia con Genny, il modo con cui lo consigliava, i gesti con cui lo proteggeva da Don Pietro mi hanno sempre fatto sperare. Anche se dalla morte di Attilio qualcosa in lui è cambiato, una parte di Ciro l'Immortale se n'è andata forse per sempre. E così in una ascesa graduale si è trasformato, è cresciuto, si è incattivito. E io non l'ho riconosciuto più.
Guardavo i suoi occhi, ma non li vedevo. Osservavo il suo sguardo, ma lo sentivo distante. Immaginavo i suoi lineamenti e li avvertivo duri. Era diventato una macchina da guerra, un soldato crudele, forte, verace, appassionato ma anche cattivo. Aveva trasformato quel briciolo di umanità che ancora gli rimaneva in qualcosa di terribile, aveva mutato il bene in male.
L'apice della sua cattiveria è stato quando ha torturato la povera Manu e l'ha fatta uccidere, è stato allora che ho capito che i miei erano solo sogni di redenzione e che nel mondo reale non funziona così, perchè una ragazza può essere davvero uccisa in quel modo, senza motivo, senza salvarsi.
E nonostante questo lui è andato avanti, desideroso di sconfiggere tutto quello che lo aveva creato, soddisfatto di aver sterminato tutto e tutti. E invece, credo che andando avanti abbia ucciso solo un altro po' della sua umanità: ha sparato in mezzo a una folla, pur di fare fuori Gennaro; ha allontanato i suoi affetti; è sceso a patti con la morte, pur di ottenere quello che voleva.
E' stato Immortale sin dalla prima puntata, ha sfidato Salvatore Conte ed è sopravvissuto, ha affrontato i russi in Spagna ed è tornato, ha ucciso e non è mai stato ucciso.

E' forse tra i personaggi più cattivi della televisione, ma nonostante questo io non lo odio. Ho provato rabbia nei suoi confronti; ho desiderato che cambiasse, invano. Ma non riesco ad odiarlo. Perchè sento, che in fondo, dietro quegli occhi di ghiaccio, dietro quell'espressione impassibile c'è un'anima, una vita. E perchè so che Ciro non è Immortale, non è invincibile, ma è un uomo come noi, che ha lasciato sopravvivere solo la parte peggiore di sè forse perchè non ha mai conosciuto davvero l'amore.








venerdì 16 gennaio 2015

Rinascita.

Rieccomi qui, cavolo, sono passati ben due anni! Due anni dall'ultimo post scritto, due anni dall'ultima riflessione digitata su questa tastiera, due anni di "sonno intellettuale". Lo so, immagino che non avrete sentito la mia mancanza, anzi credo che vi siate completamente dimenticati di questo blog, di chi c'è dietro, dei suoi pensieri. Non importa, io continuerò a scrivere (si spera non ogni due anni!) perchè era troppo tempo che non sentivo il mio cuore battere più forte, le mie dita digitare le lettere a ritmo di musica, le mie labbra sorridere. In quest'ultimo periodo mi sono lasciata trasportare forse troppo dai sensi di responsabilità, dalle ansie, dalle paure, dalla voglia di fare e andare avanti e non mi sono accorta di quanto il tempo sia passato in fretta, senza aver fatto nulla. O almeno, nulla per me stessa. Ho raggiunto degli obiettivi di cui sono fiera, ma forse ho perso quella parte di me legata alla creatività, al'ingenuità e al sentimento che contraddistinguono uno scrittore. Io non mi reputo una scrittrice, ma amo scrivere e in questi ultimi tempi avevo smesso di scrivere, forse delusa, forse rassegnata, forse consapevole che la mia strada non sarebbe stata questa. Ed è vero, nella vita farò altro, qualcosa di completamente diverso, ma non per questo voglio smettere di coltivare questo piccolo angolo della mia mente. E voi ne sarete testimoni, ancora una volta. Se vorrete, sarete testimoni della mia rinascita...Riprenderò a scrivere qui, sin da subito. Pubblicherò nuovi post. Su cosa? Ancora non lo so. Mi piace improvvisare. Scriverò su ciò che in quel momento mi fa sentire viva. Perchè la scrittura è il mio "Salvatore", il mio "Sotèra". Stay tuned!

giovedì 31 gennaio 2013

Ian Somerhalder.

Covington, 8 dicembre 1978. Una donna di nome Edna, dà alla luce il suo secondogenito e decide di chiamarlo Ian. E’ un tenero bambino che si rigira nella culletta e guarda il mondo, a lui ancora sconosciuto, con i suoi vispi occhietti azzurri, profondi come l’oceano. Ian cresce in Louisiana, tra giochi nella natura, corse a cavallo, divertenti espedienti con suo fratello Robert e sua sorella Robyn e nuotate nelle acque del Golfo del Messico, lo stesso golfo danneggiato nel 2010 da una piattaforma petrolifera. 

                                                       
Ian diventa un adolescente e si affaccia nel mondo dei “grandi”: vorrebbe lavorare e diventare indipendente, per aiutare la sua famiglia e decide di inserirsi nel mondo della moda, anche grazie all’aiuto di sua madre. E’ un ragazzino molto carino, i suoi occhi risaltano subito all’attenzione di numerose agenzie di moda e il suo volto pulito ed angelico viene subito riconosciuto come un volto da modello perfetto. Passa il tempo ed Ian, ormai inserito nel mondo della moda, ha la possibilità di viaggiare il mondo ed avere un lavoro che lo sostenga, ma…vorrebbe qualcosa di più. Vorrebbe poter mostrare al mondo quello che sa fare, a parte sorridere davanti ai fotografi e posare vestito come un manichino. Ian vorrebbe far vedere al mondo che sa anche far uscire un’altra parte di sé, una parte che ancora molti non conoscono, un lato del suo carattere che può mostrare solo con la recitazione. Credo, infatti, che tutti abbiano un lato un po’ nascosto che riescono a liberare in vari modi: io lo faccio scrivendo, ma c’è chi lo fa cantando, suonando, danzando, correndo o chissà in quali altri maniere. Ian riesce a mostrarlo recitando. 

                                                            
Purtroppo non subito il mondo si è accorto del suo talento, infatti ha partecipato a numerosi film e serie TV senza troppo successo; ma io penso che se sei destinato a fare qualcosa, se la desideri dal profondo e se non ti arrendi mai, il sogno che aspetti arriva, in un modo o nell’altro. E così è stato per Ian: un bel giorno, ecco l’occasione della sua vita, un ruolo in “Lost”. E da quel momento la strada sembra essere continuata per il meglio, nonostante la morte prematura del suo personaggio, Boone. Il successo è continuato ed è scoppiato letteralmente quando ha interpretato (e interpreta ancora!) il ruolo del vampiro Damon Salvatore nella serie “The Vampire Diaries”.

                                                       
 E’ stato da questo momento che tutti hanno iniziato a conoscerlo meglio e ad apprezzarlo come avrebbe già dovuto essere apprezzato da tempo. Sarà stata la sua aria da cattivo ragazzo? Sarà stato il fascino del bello e tenebroso? Oppure i suoi capelli corvini riflessi alla luce, il suo sguardo magnetico e il suo sorriso pulito a far innamorare tutte le donne del mondo? Io sono rimasta letteralmente colpita dal suo incredibile modo di guardare le persone, come se le comprendesse in ogni gesto o parola, come se riuscisse a scavarne in profondità, come non era riuscito ancora a fare con sé stesso. Il personaggio di Damon è un personaggio alquanto complesso, ma altrettanto affascinante ed intrigante. Credo che sia questo il motivo per cui tutte ne rimagono ammaliate, soggiogate, rapite. E Ian riesce ad interpretare questo ruolo alla perfezione. Personalmente credo che sia il ruolo che gli sia riuscito meglio, senza nulla togliere a tutti gli altri, perché credo che Ian in questo ruolo sia riuscito a mettere quel lato di sé che esce soltanto nella recitazione. Sfortunatamente non lo conosco di persona, ma da quel poco che leggo su di lui e sulla sua vita privata, ritengo che nella sua vita lui sia tutt’altro che un “cattivo” come Damon Savatore. Ed è per questo, a mio avviso, che riesce ad interpretare questo ruolo così bene, perché chiunque di noi ha il bisogno di diventare qualcuno che nessuno crede potrà mai diventare, è il desiderio innato di ciascuno di noi di fuggire dalla vita di tutti i giorni e diventare sul set qualcun altro. Potrei anche sbagliarmi, e solo Ian potrà dircelo, ma credo che sia questa la ragione per cui riesce ad essere così…Damon. 

                                                             
Infatti, questo ragazzo dagli occhi profondamente intensi e dal sorriso tenacemente espressivo è una persona che sembra a dir poco perfetta. E’ un uomo impegnato nel sociale, per la difesa e la protezione di ambiente, animali, natura e…qualsiasi altra cosa che riguardi il Mondo. Ed è stato a questo punto che è aumentata la mia stima nei suoi confronti. E’ troppo semplice apprezzare un “personaggio televisivo”, è spontaneo e quasi “normale”, ma è altrettanto facilissimo dimenticarsene: basta smettere di guardare quel film e rendersi conto che non esiste realmente perché è solo opera della creatività degli sceneggiatori. Ecco cosa mi è successo con Damon Salvatore. Ho capito che era un vampiro bello e tenebroso, di cui qualsiasi ragazza si sarebbe innamorata, ma nulla di più. E allora? E allora, a quel punto, ho iniziato a capire chi fosse Ian Somerhalder, chi fosse l’uomo che interpretava quel ruolo; sono andata oltre al personaggio e ho deciso di informarmi su chi avevo di fronte. Bene, ciò che ho capito è che Ian è davvero una persona da stimare, per tutto quello che cerca di fare ogni giorno. Non credo che sia senza difetti, altrimenti non sarebbe umano, ma credo che il suo voler migliorare a tutti costi il mondo che ci circonda li annulli tutti. 

                                                   
Ha fondato una fondazione a suo nome, la “IS Foundation” il cui scopo è quello di educare, con la collaborazione di progetti, fondi e persone, a migliorare il pianeta e le sue creature. E continua, giorno dopo giorno, ad impegnarsi in questo progetto con tutto sé stesso, senza mai smettere. Ne ho visti tanti uomini famosi impegnati nel sociale, ma mai nessuno mi è sembrato sincero come lui, privo di interessi e desideroso di “convertire” la Terra in un posto pulito e sano. Ed io lo ammiro per questo. La vita è troppo breve per starcene con le mani in mano ad aspettare che qualcuno con un colpo di bacchetta magica trasformi la spazzatura in caramelle, il petrolio in acqua o la cattiveria in bontà, la vita è troppo breve per smettere di sorridere e credere in quello in cui speriamo e vogliamo dal profondo. Ed è questo l’insegnamento che dobbiamo trarre da Ian e dalla sua continua campagna in favore di un mondo migliore; a prescindere dal fatto di riuscire a cambiare il mondo, per lo meno provarci, come sta facendo lui, è già un modo per sentirsi soddisfatti a pieno di questa nostra breve esistenza.

lunedì 21 gennaio 2013

Our journey is not complete.

Obama sa sempre cosa dire e cosa fare, sembra essere al posto giusto al momento giusto. Oggi, 21 gennaio 2013, ha preso ufficialmente inizio il suo secondo mandato e ha inaugurato la sua Presidenza negli Stati Uniti con un discorso che ha davvero un grande significato. E' stato un discorso che tutti noi dovremmo fare nostro e dovremmo cercare di seguire...Mi hanno molto colpito soprattutto alcune parole: "Our journey is not complete" ed è proprio su queste che vorrei riflettere, a prescindere del significato che hanno assunto nel discorso di Barack. Già, perchè il nostro viaggio non è completo, per nessuno di noi, nè per i giovani nè per gli anziani, nè per chi crede di essere "arrivato" chissà dove nè per chi sta cominciando. Tutti dobbiamo imparare e sperimentare e crescere. Tutti abbiamo la necessità di andare avanti e di conoscere a fondo quello che ci sta intorno. Sapete, spesso diamo troppe cose per scontato, crediamo che vivere nel secondo millennio basti a giustificare troppe ingiustizie. "Un tempo questo non accadeva", "Prima non era così", "Il mondo di oggi sta andando a puttane" sento dire troppo spesso e mi fa davvero tanta rabbia! E allora perchè non cerchiamo di cambiare questo mondo che fa così schifo? Perchè non ci sforziamo di capire che il nostro viaggio continua sempre e comunque? Per Obama il viaggio come presidente negli USA continua e sembra davvero carico e pronto per migliorare la sua nazione. E noi, siamo pronti? Tra politici che pensano a "fare gli splendidi" in TV davanti agli elettori, cittadini sempre più delusi e rivoluzionari che inneggiano al cambiamento senza reali promesse, siamo davvero sicuri di voler continuare il nostro viaggio? Io non ci sto, io rimango sempre più allibita e confusa perchè non è così che immaginavo fosse l'Italia. Io credevo che fossimo tutti un po' allegri e spensierati, come ci descrivono nei film americani, ma credevo che fossimo anche patriottici e uniti. E invece, crescendo, mi rendo conto che siamo patriottici ed uniti solo ai Mondiali di calcio o di fronte al Colosseo o tra le gondole di Venezia e invece vorrei che lo fossimo al lavoro, a scuola, in politica, per strada, nei negozi, di fronte alle continue ingiustizie che subiamo ogni giorno, così da dimostrare che per noi il nostro viaggio continua ogni giorno. Spero solo che arrivi qualcuno che lo capisca, intanto mi consolo pensando a come continuare il mio percorso di vita.



martedì 20 novembre 2012

Questo Nostro Amore.

"Questo nostro amore" fino a poco tempo fa vi avrebbe fatto pensare all'omonima canzone di Rita Pavone o semplicemente all'esclamazione di due innamorati per strada, che sentono di voler urlare al mondo il loro amore intenso e passionale. E' da circa un mese, però, che se pronuncio per strada o ad alcuni miei conoscenti oppure se digito su twitter o facebook queste tre magiche paroline, ecco comparire l'omonima fiction, il suo successo ed i suoi apprezzamenti tra il pubblico. 


E credo che se lo meriti, perchè questa non è stata solo una fiction, non una delle tante, almeno; è stata la storia di due famiglie, la storia di due amori, la storia di due ragazzi, la storia di un'epoca. 
Io ho iniziato a vederla credendo che fosse una di quelle serie che vanno tanto di moda al momento e quando mi sono ritrovata ad emozionarmi con i protagonisti ho capito che era qualcosa di più!




Perchè io ho vissuto insieme ai Costa e agli Strano le loro vicende familiari, io ho pianto alla dichiarazione di Vittorio Costa, io mi sono emozionata vedendo Bernardo e Benedetta e ho sorriso osservando i gemellini e la simpatica Marina. 



Così, all'improvviso, ho capito perchè tutti hanno amato questa fiction: perchè parla di vita vera, parla della storia di due famiglie che sono diventate un'unica famiglia e ci ha insegnato in tempi duri come questi, in cui ci si ammazza anche tra vicini di casa, come può essere bello trovare una famiglia che ti vuole bene e che ti permette di urlare al mondo quanto bello sia "questo nostro amore".




<< Perchè io ho vissuto insieme ai Costa e agli Strano le loro vicende familiari, io ho pianto alla dichiarazione di Vittorio Costa, io mi sono emozionata vedendo Bernardo e Benedetta e ho sorriso osservando i gemellini e la simpatica Marina.>>

mercoledì 7 novembre 2012

Elezioni.

"Obama ha vinto!", "Grande Obama!", "Ottima scelta!". Il web oggi è pieno di esclamazioni di questo genere ed io sono la prima ad affermare che se fossi stata americana, avrei scelto Barack Obama. 



Però noi non siamo americani, non abitiamo negli States, non abbiamo gli armadietti nelle scuole, non abbiamo il ballo di fine anno, non andiamo al college e non viviamo in praterie e non abitiamo in altissimi grattacieli e non abbiamo vissuto la tragedia delle Twin Towers. E la lista potrebbe ancora continuare, ma il succo rimarrebbe sempre quello: noi non siamo americani. Anche se ci sforziamo di imitarli, anche se vorremmo vivere nella Grande Mela, anche se li invidiamo. Si sa, l'erba del vicino è sempre più verde. E così, anche in occasione del "Voting Day" americano eccoci tutti lì in trepida attesa, eccoci tutti a dibattere e a prognosticare su chi avrebbe vinto, tutti a sperare che Obama vinca, tutti a "fingere" di essere americani. Lo so, lo so, questa è la globalizzazione, questo è ciò che significa essere un'unica grande cittadina, ma non prendiamoci in giro...A parte essere contenti che Barack abbia vinto e oltre a tifare inconsciamente per lui, che altro possiamo fare? Perchè ci preoccupiamo tanto di dire la nostra o di mandare in onda talk show politici che dibattono su chi vincerà? Se abitassimo a NY questo avrebbe un senso, ma noi siamo italiani e invece che preoccuparci così spasmodicamente delle elezioni in America dovremmo preoccuparci sulla nostra condizione politica attuale, su chi dovremo votare in un futuro non troppo lontano, su come possiamo combattere la cosiddetta "crisi" invece che tagliando a destra e a manca, su come potremmo riorganizzare la società, che sta letteralmente andando a pezzi. Lo so che questa è una visione piuttosto estremistica, ma è l'unico modo per permettere a tutti noi di comprendere dove finiremo se continuiamo sempre e solo ad appoggiare gli altri e a volerli imitare più che a pensare a dove potremmo arrivare noi stessi, come nazione, se solo ci impegnassimo sul serio. E forse se continuiamo così, a dicembre finirà davvero il mondo, come dicevano i Maya, perchè finiranno gli ideali concreti e la voglia di combattere per quello di cui si è convinti. Se invece usiamo i nostri sogni e le nostre speranze, così come la vincita di Obama, le scelte americane o di qualsiasi altra nazione come incentivo per rialzarci da questo "sonno sociale" forse a dicembre non finirà il mondo, ma inizierà quella nuova era in cui tutti sperano.





<<Però noi non siamo americani, non abitiamo negli States, non abbiamo gli armadietti nelle scuole, non abbiamo il ballo di fine anno, non andiamo al college e non viviamo in praterie e non abitiamo in altissimi grattacieli e non abbiamo vissuto la tragedia delle Twin Towers. E la lista potrebbe ancora continuare, ma il succo rimarrebbe sempre quello: noi non siamo americani.>>